Pochi chilometri a nord di Sharm, lungo l’inevitabile Peace Road, si svolta in Safari Street all’altezza del Marriott e la situazione cambia rapidamente. Spariscono subito gli alberi e poco dopo anche i radi cespugli spinosi. A bordo strada, solo un paio di cappellacce si fanno vedere. Trovare le vasche è facile. Basterebbe il puzzo a guidarci. Si tratta delle vasche di decantazione delle acque luride di tutta la zona, un vasto complesso di vasche digradanti di pietra e cemento che trasforma i liquami prodotti dai turisti in acqua per l’irrigazione e chissà cos’altro - non vogliamo sapere. E’ pieno di uccelli. Centinaia e centinaia di cicogne bianche arrivano qui ogni giorno in migrazione e si fermano a riposarsi e dissetarsi. Tra loro anche alcune cicogne nere e gru. Alcune arrivano stremate dal lungo viaggio e non ce la fanno. Non bastasse il tanfo a rattristarci, tra le vasche si cammina in mezzo ai cadaveri di cicogna.

L’impazienza e il vociare del muezzin ci hanno fatti alzare troppo presto. Alle 8 le aquile non sono ancora arrivate. Ci accolgono però nibbi bruni a centinaia, alcuni sparvieri levantini, un falco unicolore in caccia, un branco di pavoncelle armate e alcuni mignattini. Anche i passeriformi sono abbondanti: la monachella dal cappuccio e la monachella lamentosa fanno la sentinella sui mucchi di terra smossa a ovest delle vasche; centinaia di ballerine bianche e pispole golarossa saltellano sugli argini di cemento; rondini, rondini rossicce, balestrucci, rondini montane pallide e topini svolazzano a caccia di insetti sopra le acque maleodoranti; meno numerosi: ballerina gialla, cutrettola, pettazzurro, anatre e limicoli vari, un mignattaio e i totalmente inaspettati e quindi tanto più graditi pigliamosche pettirosso e martin pescatore bianco e nero. Alle 9 cominciano ad arrivare gli pteroclidi: grandule coronata e grandule del Senegal a decine – per le grandule di Lichtenstein bisognerà invece tornare al tramonto. Si tratta di uccelli dai colori bellissimi, delle dimensioni di un piccione, che vivono in pieno deserto e vanno a bere alle pozze una volta al giorno. Le penne del ventre hanno una forma speciale e funzionano come spugne: ogni uccello le inzuppa d’acqua e trasporta il liquido al nido, dove le uova o i pulcini friggerebbero sotto il sole del deserto se non ricevessero questa preziosa doccia. Alle 9,30 comincia il vero spettacolo. Tra i nibbi in volo si cominciano a scorgere le aquile.

Prima un’anatraia maggiore, poi un’aquila imperiale giovane, poi varie aquile delle steppe in tutti i piumaggi, poi alcune alcune aquile anatraie minori, un biancone, diverse aquile minori in fase chiara, quattro giovani capovaccai , falchi pecchiaioli, poiane e poiane delle steppe, un lanario e vari gheppi. D’improvviso siamo in paradiso, non sentiamo più né il sole che si fa sempre più cocente, né il puzzo. Di fronte a tanta abbondanza non si sa dove puntare il cannocchiale. Mattia discetta sulla commessura labiale dell’aquila delle steppe, Andrea striscia come un comanche per fotografare da vicino un’anatraia posata a terra, io e Stefano ci ostiniamo su alcune allodole lontanissime cercando di scovare l’allodola del deserto e su una “maledetta” cannaiola che riesce a lungo a non farsi vedere per bene anche se il canneto che la ospita sarà grande 3 mq al massimo.

Le vasche sud, quasi senz’acqua, sanno più di discarica a cielo aperto che di fogna e ospitano pochissimi uccelli. Quattro sparvieri levantini si alzano in volo al nostro arrivo; due femmine e un maschio di gheppio usano gli eucalipti come posatoi; due garzette e una sgarza ciuffetto molto scura si aggirano tra i rigagnoli; molte le tortore delle palme e dal collare e una piccola femmina di tortora mascherata. Esplorando un bel rudere di fornace ci accorgiamo di essere osservati da un candido barbagianni, appollaiato sulla trave più alta.
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